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Il libro del mese

Realismo capitalista (cache)

autore: Mark Fischer


È davvero più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo? E perché ci siamo ormai assuefatti all’idea che, per dirla con Margaret Thatcher, «non c’è alternativa» al sistema in cui viviamo? Da queste domande, prende spunto uno dei più incisivi e influenti saggi critici degli ultimi quindici anni: il manifesto politico ed estetico del filosofo inglese Mark Fisher, per la prima volta tradotto in italiano.


Precari (cache)

autore: Giuseppe Cavarra



Una società che si è evoluta troppo in fretta macina ai suoi margini una gioventù sfacciata, ignorante, che nasconde la propria fragilità dietro ad atteggiamenti che la riportano indietro nel tempo, ai primordi dell’umanità. Senza garanzie per il futuro vive l’incerto presente come in sogno. I lavori usuranti e pericolosi, la ripetitività dei gesti succhiano la linfa di questi uomini. La fabbrica, come un organismo spietato, lascia i nuovi schiavi svuotati e soli con la forte voglia di fuggire lontano. Eppure, l’amore si infiltra come goccia nelle crepe del cemento e apre squarci di luce, fuori dal recinto la natura risveglia i sensi e nuovi sentieri si aprono alla vista non abituata ai grandi orizzonti. Questa raccolta di racconti è anche un invito alla solidarietà, per non lasciare indietro nessuno.

http://www.robinedizioni.it/nuovo/precari



Il grande Gioco (cache)


Traduzione di Giorgio Petrini
gli Adelphi
2010, 6ª ediz., pp. 624 , 6 cartine e 15 ill. in b/n f.t.
isbn: 9788845924750
Temi: Reportage, Storia moderna, Politica

«... grande affresco storico sul Grande Gioco, come lo chiamò Kipling, che impegnò inglesi e russi, per buona parte dell’Ottocento, in Afghanistan, in Iran e nelle steppe dell’Asia centrale. Mentre il grande impero moscovita scivolava verso i mari caldi inghiottendo ogni giorno, mediamente, 150 chilometri quadrati, la Gran Bretagna cercava di estendere verso nord i suoi possedimenti indiani. Vecchia storia? Acqua passata? Chi darà un’occhiata alla carta geografica constaterà che i grandi attori hanno cambiato volto e nome, ma i territori contesi o discussi sono sempre gli stessi. In queste affascinanti “mille e una notte” della diplomazia imperialista il lettore troverà l’antefatto di molti avvenimenti degli scorsi anni in Afghanistan e in Iran».

SERGIO ROMANO










Sinfonia per la città capovolta

Di: Pablo Lentini Riva
2013 Casa editrice: Ellin Selae



"L’arrivo a Venezia del maestro è per Fortuni motivo di passioni contrastanti. Stavolta il suo idolo si presenta deperito, confuso e di umore molesto. In una laguna autunnale, evocata con sensibilità impressionista, il grande violinista svela all’allievo il mistero che ha avvolto gli ultimi due anni della sua vita. Il romanzo è un’ode alla bellezza antica, in cui risuonano le voci di tre generazioni di musicisti. Le atmosfere sono quelle dei quintetti di Fauré."

"«Quando Orsola ha alzato l’archetto dalle corde, mi sono accorto di avere i pugni serrati e le unghie quasi conficcate nella carne, poi la tensione si è sciolta in un sorriso. Non si poteva suonare così, non a tredici anni. Volevo voltarmi a domandare: “Avete sentito?”. Come se avessi il dubbio di aver sognato. E chi meglio di loro poteva condividere con me quello stupore? Vera, la pianista accompagnatrice, si è unita all’applauso degli allievi. Non era mai successo che applaudissero un compagno durante le prove. Io mi sono trattenuto: fingere che quell’esecuzione rientrasse nella norma, poteva servirmi a tenere alto il livello di tutti quanti, ma mai come quel giorno mi è stato chiaro che Orsola avrebbe fatto parlare di sé, mentre gli altri sarebbero rimasti tutti quanti nei secoli dei secoli.»

Musicista e scrittore, Pablo Lentini Riva vive da molti anni a Parigi.
Insegna presso il conservatoire Chopin e L'école nationale de musique Marcel Dupré di Meudon e conduce una intensa attività concertistica.
Ha inciso diversi CD con un repertorio che va da Bach a Ohana.
Dopo gli studi musicali compiuti al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, ha tenuto concerti in tutta Europa. Appassionato di musica barocca, è anche raffinato interprete di quella romantica e impressionista. La carriera di solista e quella di professore gli forniscono un punto di vista privilegiato sul mondo dei musicisti e della musica classica.
Con Ellin Selae ha pubblicato nel 2011 la raccolta di racconti Qui si dice che fu per amore; nel 2009 il romanzo Notturno per violoncello solo e nel 2003 la raccolta di racconti “Prima di un concerto tedesco” e numerose novelle sull’omonima rivista lettereraria. Alcuni suoi lavori sono apparsi su FMR, storico bimestrale di arte. Ha pubblicato tre cd musicali da solista.


La confraternita dell'uva

Di: John Fante
2004 Casa editrice: www.einaudi.it
Introduzione di Vinicio Campossella


John Fante. Figlio per sempre: un legame italiano tra sangue e vino

LA CONFRATERNITA Uomini dal volto ispido che consumano la vita prendendola contropelo

Ma che gioia abbiamo per le mani! John Fante. Sentite che nome. Sentite che attacco. Che fucileria! Che dreadful imbroglio! Una vicenda come un domino a cui è stato dato il primo tocco in Colorado e che srotolandosi come una muraglia cinese portatile arriva fin qua. John Fante Alighieri, quando la sceneggiata assurge a commedia! Il sommo disgraziato che nel mezzo del cammino della sua vita si trova buttato in America, come un pesce d' acqua dolce a cui tutt' a un tratto tocca imparare la parte dello squalo. Già americano, eppure con la coda rimasta impigliata ancora in Italia. Come un salmone mezzo mostro d' amore. Abbiamo delle responsabilità! Ché arriva ben anche a noi intatto il suo pomeriggio assolato, quello che ha visto la morte di suo padre impregnare di vino la canottiera col proprio sudore di scalpellino. Che razza di wine of youth è mai questo? Questo Pachino in cui sono finiti appozzati tutti, pesante e denso, da falene abbagliate di buio! La confraternita. Romanzo di euforia e morte, come in un film di Peckinpah, la morte nel pomeriggio. Però qui non ci sono pistoleri, c' è la famiglia di mezzo, e quello che sta crepando non è il generale messicano Mapeche, ma Nick Molise, e per conto suo. Mi viene sempre in mente l' orgia di morte pomeridiana del finale di Mucchio selvaggio, e quelle mosche di Angelo Musso così simili alle formiche che divorano lo scorpione più forte e velenoso di loro, succhiandolo da dentro. Questo sole d' oltremare come un negativo, un tornasole, un' impressione a ombra tra le sponde di due continenti. Quelle sbronze sulle colline di Musso, ombre al rovescio delle mie sbronze, delle nostre sbronze, ammalate di sole. Sempre morte è, tra le viti del chiaretto. E che razza di latte di leone dev' essere questo vino di Angelo Musso, per affratellarli così? Nel sangue si è fratelli nella nascita, nel chiaretto si è fratelli anche nella morte. Quanto intrigo in questo titolo! Brotherhood of the grape... del grappolo. Che destino! Ingrappolarsi così uno all' altro, in una parentela, brotherhood..., come dire una foresta di fratelli. Fratelli di sangue fermentato. Confratelli. Tutti disgraziati alla pari. «Carpini e viscigli, come è la mamma così sono i figli», come cuccioli ciechi hanno succhiato tutti dalla stessa tetta. Il chianti sanguigno, ematoso di Angelo Musso. Sono vampiri vecchi, vampiri della vigna. Vampiri italiani. Al contrario di quelli veri non succhiano il sangue, ma se lo sputano addosso direttamente, e hanno bisogno di trasfusioni, ché il sangue loro gli si è già fatto acqua per il nervoso. E quando annaffi sogni e rimpianti col vino rosso, che cosa pretendi che ne escano poi, tulipani? Eccoli qua i nostri tulipani. I confratelli, quelli che ti scegli tu, e molto peggio del destino. Fante, bisogna dirlo, è sincero. È il più sincero dei confratelli. Se ogni gruppo consanguineo ha bisogno di qualcuno che lo riabiliti, il compito di Fante era anche quello, che se fosse stato per loro erano ancora lì a litigare. Aveva ben ragione Bandini di vantarsi: «Che profilo da scrittore! Che braccia da scrittore!» Quello che ha scritto, quello che è riuscito a scrivere, che il meglio non glielo hanno lasciato fare, è arrivato fino a noi. Ora. E ci è arrivato in fronte, come la palla da baseball colpita dal gran congegno della sua clavicola. Fante ha ingannato tutte le proprie aspettative, e quelle che la sua famiglia nutriva nei suoi confronti, non realizzandole. È diventato, a beneficio di tutti noi, lanciatore di baseball, scalpellino, costruttore. Ha potuto prendere a parolate come mattoni suo padre Nick Molise, di modo che girando con lui per il Louvre a cielo aperto, la cittadina di San Elmo, potesse prendersi la sua rivincita e urlare anche lui battendosi il petto: «L' ho fatto io! L' ho fatto io!». Bene, anche Bandini è diventato grande, ma Nick è rimasto sempre il suo incubo. Che razza di imbroglio! Non ce ne si libera più. Uno pensa di essersene andato. Di essersene fatto una propria, di famiglia. Che col tempo insomma, da grandi... e invece niente. Si rimane sempre figli! Tutta la vita. Sempre presi all' amo di sughi di carne intingoli e moine. Di odori andati a nascondersi in armadi e maglioni. Si rimane all' amo dei ricatti. Tare passate di padre in figlio, cromosomiche, invincibili, insopprimibili. Come il diabete! Quella specie di malattia venerea! Like father like son... Di scalpellino in scalpellino, sempre alla lapide si finisce. Padre, Figlio e Spirito Santo. Molti scrittori americani hanno reso grande il mito dell' America asfaltandone le strade, cantando i posti di ristoro, gli occhi di marmellata delle cameriere, il fresco, la penombra dei bar prima dell' assalto della sera. Fante ha fatto tutto questo ma, a differenza di Charles Bukowski, il Cristo che l' ha resuscitato in vita, ha conservato anche gli occhi italiani, malinconici, di sua madre. E gli sono venuti buoni per ricavare così tanto, dal corpo, dall' ostia, dal sacrificio della carne della «Famiglia». È l' eucarestia Fante. Il corpo del sacrificio, la mistica applicata al quotidiano, ai fuochi fatui della cucina di casa: è lì che avviene la trasformazione del pane e del vino. Lì arde il sacro cuore della Famiglia. Questa specie di animale antropofago che si nutre di se stesso. E realizza il grande compimento della propria unità nel momento in cui le macchine parcheggiano per il Funerale, quando va per stringersi nell' abbraccio definitivo dell' assente, quando questo è già morto. Da solo. E andandosene le ha lasciato, alla Famiglia, l' ultimo regalo, quello di arrivare unita al prossimo Funerale. È così attaccato alla Famiglia che ne deve scappare. Com' è destino di tutti i figli più legati. Sono sempre loro ad andarsene, si espellono da soli per non perire del tutto. Fante viene dalla famiglia e ti riporta alla famiglia. Ti costringe a fare i conti con la famiglia. Con i figli che non hai avuto. Col fatto che preferisci rimanere figlio piuttosto che padre! E di che padre poi! La mamma è sempre la mamma, ma per amare un padre, bisogna metterci di mezzo Dostoevskij. A me la sua scrittura fa lo stesso effetto che a lui faceva Fëdor Michajlovic. Scioglie il nodo del risentimento, ti permette di abbracciare i tuoi vecchi nella loro disgraziataggine, nel decadimento, nella miseria. I maccheroni riscaldati con le bestemmie. Il velo di caglio ossidato, iridescente del tè senza limone delle mie colazioni d' infanzia. Ti riporta lì, e come se non ne bastasse una, di Famiglia, si occupa pure della seconda Famiglia. Quella degli accoliti. Quella che ti mette al riparo dalla prima. Di modo che si possa sempre avere una porta da sbattere e una a cui tornare. Che la sceneggiata abbia modo di continuare. Non è questa gente fatta per starsene da sola. Borbottano ed è una lamentela almeno a due voci. Sono polifonici. Usano le parole come carte, come briscole, a chi la cala più grossa. E quando una cosa non la capiscono vuol dire che è rotta. Non è certo il litigio a fargli paura. Il silenzio però sì. Il vuoto. Il litigio è la bussola dei loro sentimenti. Gli dice chi sono e con chi stanno parlando. È il loro modo di rendersi indispensabili. Perciò sono famiglie, queste, da cui non si può divorziare. Una moglie se la tengono una vita, non per starci bene, ma per litigarci, che è un collante, un legame molto più duraturo delle carezze. Anche l' amore lo prendono contropelo, come l' istrice. Però amano, nel livido dell' alba, fuori di casa, e si fanno amare dalla loro amante più ricambiata. La vita. Si sono messi la morsa, per non soccomberle. Il guinzaglio a molla, col ritorno incorporato, e questo gli dà la misura della loro sbornia. Si sono dati un centro e ci si tengono attaccati con la carne della loro carne per croce. La famiglia. Si sono dati un perimetro. Il loro campo coltivato, arato tutta la vita, pronto per andarci a crepare dentro.

Il testo che qui anticipiamo è tratto dalla prefazione che Vinicio Capossela ha scritto per la nuova edizione de La confraternita dell' uva di John Fante, traduzione di Francesco Durante, Einaudi Stile libero (pagine 232, euro 9), in libreria da oggi L' anarchico riscoperto da Bukowski Nato a Denver nel 1909 da un muratore abruzzese, John Fante passa i primi anni in povertà. Nel 1929 si trasferisce in California Comincia a scrivere racconti per l' American Mercury di Henry Louis Mencken. Crea nel 1936 il personaggio di Arturo Bandini, suo alter ego, protagonista del romanzo La strada per Los Angeles, rifiutato dagli editori, e di Aspetta primavera, Bandini (1938) Dopo Chiedi alla polvere (1939), considerato il suo capolavoro, e Full of time (1952), si dedica alla sceneggiatura e viene dimenticato come scrittore La riscoperta avviene nel 1980 grazie a Charles Bukowski, che fa ristampare Chiedi alla polvere. Cieco e malato di diabete, Fante detta Sogni di Bunker Hill. Muore a Los Angeles l' 8 maggio 1983 IL ROMANZO Nick Molise, scalpellino e padre padrone Nel personaggio di Nick Molise, coprotagonista insieme al figlio Henry del romanzo di John Fante (nella foto) La confraternita dell' uva (Einaudi Stile libero), si riflette il difficile destino degli immigrati italoamericani di prima generazione, costretti ad affrontare un difficile percorso d' integrazione, sotto il peso dei pregiudizi espressi dalla società circostante. Attorniato dai suoi «compagnoni paesani» altrettanto coloriti, questo anziano e collerico scalpellino, che tiranneggia duramente il figlio, è una figura chiaramente ispirata al padre dell' autore, morto d' infarto nel 1950. Pubblicato per la prima volta nel 1975, il romanzo è, assieme a Chiedi alla polvere, il maggior successo di John Fante.
Capossela Vinicio
(19 novembre 2004) - Corriere della Sera http://archiviostorico.corriere.it

Di cosa parlano le donne quando parlano d'amore

Iaia Caputo
140 pag., Lit. 20.000 Edizioni Corbaccio (cache)__
ISBN 88-7972-484-3


"Perché la parola femminile nell'amore continua a essere tortuosa, allusiva, implicita, contorta se non limacciosa? Perché gira intorno e suggerisce, ammicca e nasconde? È una parola ancora timorosa di dire, e non per questo meno aggressiva. Sempre spostata, obliqua rispetto al senso."

Le donne esprimono l'amore con le proprie parole, con quelle parole che spesso gli uomini non comprendono. È sempre stato difficile, tormentato il rapporto tra un uomo e una donna, specie in campo affettivo e, stando ad ascoltare le tante esperienze narrate in questo saggio, lo è ancora oggi. Iaia Caputo ne fa un quadro interessante e profondo, attraverso la voce e l'esperienza di personaggi tratti dalla storia come Sonja Tolstoj, sofferente moglie del grande scrittore russo, o Adèle H. (la protagonista del film omonimo di Truffaut da lei definita la protagonista di "una rivolta chiamata amore"), ma anche di donne anonime e "quotidiane".
Ne emerge l'impressione che le donne si sentano ancora molto incomprese e che le parole d'amore con le quali esprimono un sentimento pur molte volte ricambiato dagli uomini, cadano nel vuoto o vengano fraintese. Mantenere viva una passione negli anni può essere un'impresa difficile, ma le donne spesso intraprendono questa strada con una volontà indomabile. Vorrebbero forse che i propri compagni di viaggio tentassero di comprendere meglio le loro esigenze, le piccole lamentele e la grandi manifestazioni d'amore, che vanno ben al di là delle parole, ma che si esprimono con i fatti ogni giorno. D'altro canto le donne, secondo l'autrice, ancora non hanno imparato a dire con sincerità e schiettezza le proprie opinioni, a denunciare i risentimenti e a lasciarsi andare alle passionalità. Come potrebbero essere capite se non da altre donne che posseggono il medesimo alfabeto comunicativo? Per questo le donne parlano d'amore più negli incontri tra amiche che con gli uomini. Ma di cosa parlano le donne quando parlano d'amore? Di sogni ("sognare dà fiato all'anima, apre orizzonti più ampi a un pensiero che rischia di rattrappirsi sulla contingenza"), di illusioni, di miraggi? Il più delle volte sembra di sì, perché scendere a patti con la realtà è molto difficile e doloroso. La comunicazione uomo-donna pare talvolta un vero dialogo tra stranieri che non si comprendono perché utilizzano un codice differente. E allora subentra il silenzio, come l'autrice ci racconta con uno spaccato della sua stessa vita: "Ora non cerco più compagni di ventura, non ricordo neppure più da quanto tempo, ma ho stretto con uno, e con lui soltanto, quel patto di sangue che è il matrimonio del cuore: ormai entrambi nella seconda parte delle nostre vite, tanto unite che si districano a fatica. E sono approdata a un silenzio eloquente. Né sottomesso, né frustrato, che posso sempre lacerare o sospendere. Un silenzio consapevole della parzialità di un discorso comune, della impossibilità di una condivisione totale, della necessità di una separatezza che è l'unica condizione per restare amanti, fratelli, sposi".

Di Grazia Casagrande
e Giulia Mozzato

Le prime righe:

Capitolo 1

L'INTELLIGENZA DELL'AMORE

Las mujeres, el amor lo inventan
(Le donne l'amore lo inventano).

Sembra che gli uomini vivano i rapporti, mentre le
donne li pensano.
Marcella Serrano, Noi che ci vogliamo così bene


Era una bella serata di un luglio asturiano. Cenavamo all'aperto: una lunga tavolata di amici italiani, messicani e argentini riuniti in occasione di un festival letterario. Alcuni, tra cui io, si incontravano dopo diversi anni, altri si vedevano in Spagna per la prima volta. Si mischiavano nostalgie e curiosità, il bisogno di ritrovarsi per stabilire in fretta una passata intimità e vaghi, leggerissimi desideri di seduzione. Chiacchiere, notizie, novità che riguardavano ora l'uno ora l'altro dei presenti si rincorrevano. Ero stata fortunata, avevo trovato posto tra due amiche messicane: abbassando il tono della voce, per pudore, potevamo persino dirci qualcosa di più di quanto quel salotto all'aria aperta consentiva. Myriam ha un figlio che soffre da tempo di problemi psichici: le sue e-mail degli ultimi due anni colavano dolore. Paloma aveva da poco subito un intervento chirurgico: cercavo di capire quanto fosse autentica la ripresa sorridente che offriva agli altri. A un certo punto chiesi di Guadalupe: l'avevo conosciuta in Messico tempo prima, avevo poi rivisto suo marito in Italia e sapevo che entrambi erano lì, ma non a cena con noi. Di lei, e direttamente da lei, avevo saputo che desiderava un figlio, molto. Come lo desiderano le donne rapidamente in corsa verso i quaranta, a diverse fermate di distanza dai trenta: con l'urgenza del corpo che sa il tempo e ne teme la fine. Solo alle donne accade di parlare così: è come se intorno a certe parole si coagulassero uguaglianze senza tempo, affinità ignare dei confini geografici. Nonostante la frequentassi da pochi giorni, durante il mio soggiorno a Puebla mi aveva squadernato il suo dolore per quel desiderio, almeno allora, non condiviso dal suo compagno, concedendomi un'intimità che andava al di là delle parole. Non l'avevo dimenticata. Per certo sapevo che un figlio non era mai arrivato. Così, con sincero interesse, chiesi: "E Guadalupe, come sta?". Un'amica comune, anche lei messicana, mi aveva risposto che Guadalupe stava molto bene, vendeva finalmente i suoi quadri, aveva fatto una mostra che aveva ottenuto un certo successo, e un'altra forse l'avrebbe portata di lì a poco in Venezuela. Poi aveva aggiunto: "Está muy enamorada".


RCS Libri (cache)
Se non ora quando Noto (cache)

Politica della bellezza

James Hillman
1999 casa editrice: Moretti e Vitali

Cliccando sull'icona sottostante troverete in PDF il secondo capitolo del libro
offerto dalla casa editrice.


Paesaggi dell'agro netino

Di: Tino Franza
2007 Casa editrice: www.cuecm.it


Il tempo che scorre diverso, l'essenziale e l'umile da scoprire “A piedi per antichi sentieri”.
E' il messaggio che colgo in: “Paesaggi dell'agro netino”, con la delicatezza che può trasmettere solo chi è innamorato di questi luoghi.
Una guida attenta ai particolari, con una cartografia accurata che rende fruibili a tutti i percorsi descritti.
Beppe

Paesaggio costituzione cemento

Di: Salvatore Settis
2010 Casa editrice: www.einaudi.it



«È oggi più che mai necessario parlare di paesaggio».
Salvatore Settis si confronta con il baratro che separa i principi di difesa e tutela del territorio sanciti dalla Costituzione dalla realtà di degrado dello spazio che abitiamo. «Il degrado di cui stiamo parlando non riguarda solo la forma del paesaggio e dell'ambiente, e nemmeno solo gli inquinamenti, i veleni, le sofferenze che ne nascono e ci affliggono», è una forma di declino complessivo delle regole del vivere comune, reso possibile da indifferenza, leggi contraddittorie - aggirate con disinvoltura -, malcostume diffuso e monetizzazione di ogni valore.
Un'indagine che risale alle radici etiche e giuridiche del saccheggio del Bel Paese, per reagire, preservare e fare «mente locale», contro speculazioni, colpevole apatia e conflitti tra poteri. Una necessaria manifestazione di civiltà, per evitare che il cemento soffochi anche il futuro del nostro territorio.
www.einaudi.it


Il linguaggio della follia

Di: David Cooper
1978 Casa editrice: www.feltrinelli.it


Che ne è dell’antipischiatria ? Può la psicanalisi costituire un’alternativa alla psichiatria tradizionale? E’ inevitabile la situazione di oppressione e violenza che caratterizza tanti aspetti della nostra vita sociale? David Cooper, leader della contestazione in campo psichiatrico, risponde a queste domande sviluppando il discorso che da anni và elaborando intorno alla follia e alle sue implicazioni sociali e politiche: E’ un discorso che si rivolge a tutti perché non tratta soltanto di quella follia” che ottiene il battesimo psichiatrico con la diagnosi di schizofrenia”, bensì affronta “la follia che è più o meno presente in ciascuno di noi”. La relativa asistemicità di questo discorso consegue dal fatto che esso, invece di tendere alla speculazione accademica, tende a crescere a contatto con la quotidianità (con la grammatica del vivere suggerisce un celebre titolo di Cooper).
Le questione toccate sono tutte di importanza primaria: la teoria dei bisogni, la lotta contro la familiarizzazione (“la famiglia essendo semplicemente un momento di mediazione della repressione macropolitica”), la critica della psicanalisi (in quanto risposta del sistema familiare borghese), il linguaggio della schizofrenia e il suo rapporto con il linguaggio poetico. Contro i falsi valori della normalizzazione, che si attua attraverso infiniti canali sociali (la censura, l’ospedale psichiatrico, la propaganda…) Cooper propone una radicale inversione di valori: “ il linguaggio della follia è ne più ne meno che la realizzazione del linguaggio”. Mai la follia è stata sottratta con gesto così radicale al contesto clinico per essere assegnata a quello politico.
In un testo ricco di casi significativi e di punti di riferimento teorici (da Marx a Nietzsche, da Laing a Lacan) Cooper indica le tecniche concrete della liberazione, perché l’uomo possa riappropriarsi de quella autonomia che gli viene negata dalle ideologie.

David Cooper è nato a Città del Capo, Sud Africa, nel 1931. Si è laureato in quella stessa città nel 1955 e si è poi trasferito a Londra, dove ha lavorato in diversi ospedali. Nell’ultimo di questi ha diretto un’équipe sperimentale per giovani schizofrenici chiamata Villa 21. Suo interesse primario è stato dare sviluppo alla psichiatria esistenziale in Gran Bretagna ed elaborare principi utili a superare l difficoltà metodologiche e la divisione in settori delle scienze umane. E’ tra i fondatori della Phenomenological Studies. Delle sue opere sono tradotte in italiano: La morte della famiglia (Torino 1972); Psichiatria e antipsichiatria (Roma 1972) e Ragione e violenza (Roma 1973) scritto in collaborazione con R. Laing; Grammatica del vivere. Un’analisi di atti politici (edito da Feltrinelli, Milano 1976).

www.garzantilibri.it

Elogio della fuga

Di:Henri Laborit
Casa editrice: Mondadori 1982



Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, o la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione.
Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.
(tratto da: Henri Laborit ELOGIO DELLA FUGA, Mondadori 1982)

Biografia:
(1924-95)Biologo e psicologo francese, studioso delle influenze ambientali sul comportamento individuale.


La Tranquilla Passione

Saggi sulla meditazione buddhista di consapavolezza
di: Corrado Pensa
Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore - Roma, 1994
www.astrolabio-ubaldini.com



Per approfondimenti sul pensiero di Corrado Pensa e sulla meditazione in generale:
www.gianfrancobertagni.it

Pazzi di vetro Piccole storie di pessimo gusto

Autore: GIUSEPPE CAVARRA
Edizionirebus: www.edizionirebus.it



Il romanzo attraverso racconti, poesie,disegni,connessi da un sottile filo cronologico, descrive, tra la cronaca e l'allucinazione, un cammino umano nel fondo insensato dell'esperienza al limite che spesso rasenta il comico.
In "Pazzi di vetro", figure fluttuanti nate dall'ambiente metropolitano affiorano drammatiche, sperse dentro ad un fondo contaminato; volontariamente distruttive. Uno strato umano pericoloso, ingestibile.
A testimonianza della loro esistenza, Mook ne è portavoce cinico e crudele, ma forse con la speranza di riemergere attraverso un amico a cui affida, sottoforma di lettere, le sue esperienze,i suoi pensieri, non i suoi sogni. E' difficile risalire quando si è scesi così tremendamente in basso, l'esperienza dei leggeri contatti con il tutto naturale, che riconosce dentro di se, è la promessa di un nuovo viaggio nel rilassante vuoto, dove i pensieri trovano la pace cercata.

Per l'acquisto on line:
Edizionirebus: www.edizionirebus.it


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